domenica 29 maggio 2011

In un deserto d' imposizioni forestiere

Nella penombra di quel rudere che risonava autunno,

la Sartina Francese fisso' la mano che Le arpionava il polso

e, quasi tossendone parole,

senza il fiato, salassato dal sussulto,

e soffocato dal pulviscolo ceduto in altri lassi,

strepito':

"Soeur Bonheur! Ce temps que tu viens?"

Nell'istante che precedette la replica, in quegli occhi, si rivide: loro due correre da ferme sui nastri d'arcobaleno,

come a solcare momenti d'altroquando, munite di fórcole di volonta'.

In quel medesimo istante, astro' la penosa lontananza dai congiunti affetti, consentendo a bocciuoli letizi di spuntare tra sedimenti di smarrimento.

Come a scoprire un'oasi in un deserto di imposizioni forestiere.

[14 - continua]

lunedì 17 gennaio 2011

Scrollandosi Coriandoli Di Eventi Da Una Sottoveste

Quella notte Thinghie, tendendo il braccio dall’altra parte del letto, non percepi’ accanto a se' il tepore radiante che lo staffettava alla Sartina Francese.

Gia’ una volta Ella s’era involata da quelle lenzuola, stavolta quella assenza non lo stupi’. Allora l’ inquietudine rasento' lo sgomento per averla persa. Le sue ricerche non condussero a nulla, salvo, alle luci dell’ alba, ritrovarla al suo posto tra le lenzuola, sprofondata in un sonno di piombo.

Ou’ avez-vous cacher? J'ai cherché partout

Dans une de mes roches.”, rispose Lei.

----------

Stava sognando di animali prismati e di donne velate, quando la Sartina Francese venne scossa come sollecitata da un richiamo senza voce. Era Il ragazzo Del Lift che la chiamava per stantuffarle risposte a domande mai poste. Si drizzo’ nel letto fissando nel vuoto e poi volse lo sguardo fisso su Thinghie che, a Lei accanto, in posa di felino pronto a scattare, leggermente russava nel buio.

Il fruscìo della sua vestaglia sul pavimento gelato, ruppe il silenzio di quel nido.

Lei doveva andare da Lui

Avrebbe fatto cio' che, da quando spezzava sé stessa con Thinghie, aveva giurato di mai piu' fare.

Avrebbe risalito la china dei torrenti eventi e l ' avrebbe ritrovato. Egli desiderava che Lei sapesse, anche a costo di sfaldarne le riserve di sapere, di disperdere il bene della sua conoscenza, di comminarle il ritorno ad una negletta, interiore, essenza acerba.

Era pronta al dolore, ma solo ora si accorgeva d’ essere monca di una bussola, una guida. Come si sarebbe orientata tra gli emissari del nonritorno?

Il carillon! Quello che Egli le aveva donato, il suo suono l' avrebbe condotta nel solo plausibile altroquando.

Penetro' in quel limbo, come la sua gente le indottrino' di non mai piu’ fare e, come sabbia di clessidra tronca inizio' a smagrire di se' . Diede con forza due giri di corda al carllon. Il meccanismo si animo'. Lo sollevo' sulla sua testa; eppure nessuna melodia si percepiva. Solo voci indistinte intorno a lei in quel mondo di nebbia che la penetrava, picchi di mescole sonore come di mille magnetofoni lasciati scorrere al contrario e tappeti di venti da togliere il fiato, ma che non erano venti.

La colse una stanchezza, come se una parte di se' non si nutrisse da sempre ed, anzi, come ne fosse drenata nelle sue cambuse; e non era il suo corpo.

Il suo tempo si ritrasse e tese piu' in alto, con entrambe le braccia, quella scatola da musica, ed iniziarono a levitare a spirali, come sfere di spilli, piccole lacrime sgorgatele dal viso; unica luce in quella stazione sanatoria di possibilita' reverse, come emunte verso un punto piu’ in alto ad oriente.

Quella luce la diresse e note spicciole presero a manifestarsi, imponendosi sempre piu’ distinte e cristalline. Aveva trovato l’ istmo giusto, percorrendolo avrebbe incontrato il Ragazzo del Lift e la di Lui esperienza recente.

Progressivamente le note metalliche di quella canzone si composero, come magneti, in forma di scala di corda e Lei vi si aggrappo' con disperazione, scalandola con rabbia sino a sfrangiare i gorghi dell' alea, abbandonando quel limbo e rimettendosi in piedi scrollandosi dalla sottoveste coriandoli d' eventi.

Era sbucata ai margini di una mulattiera. Prese a contare i suoi passi come a darsi forza.

-

Nell' aria odore di sterco e sapore di sesamo, si trovo’ sotto un cielo che non smerigliava nuvole, in un un momento dal sole tagliente che accaniva agli occhi. Case di fango in strutture di pali, animali, tanti, in quella che appariva la strada principale di un villaggio e donne bardate in vestiti acromatici dalle stoffe inamidate in forme d' acqua.

Terra; il colore dominante e Lei non si orientava ancora in quel paesaggio animato, virato seppia e sterpi.

Percepi' il contatto dei suoi piedi scalzi con la terra battuta e, nella sua mano, il grattare dell’inarrestato meccanismo a molla del carillon. Si indirizzo' laddove piu' forte sentiva provenire quelle note non stupendosi degli sguardi che la fissavano dalle tonde aperture nei tuguri e dai passanti locali che, presi da chissa’ quale dovere, la scansavano operosi.

Comprendeva che per quella gente,dalla volonta' cotta dal sole, non era frequente la vista di una minuta donna in vestaglia da notte e dai tratti in porcellana.

Si infilo' in un vicolo nel quale la luce non vinceva il forte odore di sale e di vomito, quando d'un tratto leste braccia di vecchia la trassero all' interno una casupola interrata.

[13 - continua]

giovedì 23 dicembre 2010

Il XIV piano.


‘‘Quel lift’‘ aggiunse Thinghie ‘‘era divenuta la sua missione , ma le ragioni piu’ profonde per cui assunse , stavolta, proprio tale ruolo o cosa lo condusse, restano sconosciuti a me ed a tutta la compagnia del lift, ma, ne sono certo, fu per lui un imperativo e le sue parole, Signora, graffiano le tenebre, gettando brandelli di luce sulla scienza dello scopo al McPerson.
Ma Lei, piuttosto, aspirava a visitare i luogo ove abbiamo deposto cio’ che di lui…?’‘
‘‘E’ cio’ che desideravo, si! Mi ci condurrebbe, mio caro?’‘ Rispose scivolando felina sull’ apertura di quella prima vocale.
‘‘Con tutto il mio piacere, Dama’‘
Thinghie prese con devozione le sue falangi, in un goffo tentativo di grazia, e la condusse verso la monorotaia.
La Dama, al contrario, non mostro’ difficolta’ alcuna a rendere leggeri i suoi passi essendosene d’istinto.
Il suono prodotto dalla bobina in tensione riempi’ l’aria della cabina di controllo.
Thinghie sistemo’ un grosso mattone alla base della panca semovibile, quale gradino all’uopo. Repentina, la dama scavallo’ non scrollandosi grazia.
Non appena Thinghie si fu accertato che la sua ospite fosse comoda, si sedette accanto a Lei, ma rigorosamente di spalle e libero’ i freni in ghisa che sguinzagliarono la ruote piombate, gia’ frementi di pressioni elettriche.
Avviata la rudimentale vettura, la Dama si rivolse spontamea a lui e sospiro’:’‘Andra’ bene. Non ho paura’‘ e si strinse nella mantella, ma non per freddo, bensi’ per scacciare quell’insistente brivido che la percorreva dal primo istante in cui era scesa fin laggiu’.
Quel gesto le fu di ristoro come un cordiale . ‘‘Andiamo, si.’‘ Disse infine con voce risoluta.
Nei cambi di binario della monorotaia, la panca dava sussulti ma la dama restava ritta, regale, come se alcun colpo la tangesse. Thinghie resto’ silenzioso per tutto il tragitto. Allo svincolo dell’ultima curva si lascio’ cadere con un colpo di reni, mentre rallentava con le mani l’inerzia della monorotaia; senza pensarci e affine all’uso che era della sartina, la sollevo’ , prendendola in braccio, con tutta la dolcezza di cui era capace. La Dama non si avvide di quel gesto apparentemente inopportuno ma anzi le appari’ paterno e di cura.
La monorotaia terminava prossima al totem , alla base del quale era stato seppellito il corpo del Ragazzo del Lift. Quel monumento venne impiantato li’ alla fondazione dell’antica fabbrica. Chi lo eresse non era da sapere ma, spesso, Napoleone lo carezzava, passandoci accanto con intenzione.
La tomba del Ragazzo del Lift era segnata da una serie di lastre d’ardesia incrociate a shangai, creando un’aracnide tumulo. A lato, una miriade di oggetti; un carosello di mazzi di fiori olografici, ciotole di sieri, pizzi in tessuti esotici, armi tribali, papiri e decine di altri oggetti; doni conferiti da chi lo aveva conosciuto nei giorni remoti del Lift.
Una volta di fronte al ceppo, la Dama resto’ qualche passo indietro, immobile, come se d’improvviso il ticchettìo dei suoi passi le paresse incredibilmente sgraziato. Cosi’, immobile e silenziosa, infine, sorrise, e quel sorriso la condusse con dolcezza accanto al totem.
Era armonioso quel silenzio che da Lei si dipanava tutt’intorno. Con gesto delicato trasse dalla sua borsetta una minuscola ampolla di gres ,contenente un’ambrosia di olio profumato . ‘‘E’ per Te’‘, sussurro’, ‘‘…e per me e forse non c’e’ differenza.’‘. Lo pose accanto agli altri doni e, china, carezzo’ le lastre d’ardesia senza ferimento, col gesto familiare di chi, mille volte lo ha fatto ed altre mille volte lo fara’.
Si rialzo’ e la sua schiena restava dritta.
‘‘Ho questo’‘ disse, di scatto e con voce acuta, rivolgendosi al suo accompagnatore e mostrandogli a mani aperte, con fare infantile, un minuscolo fagotto di seta ricamata che aveva tratto dalla sua borsetta.
Lo svolse lentamente ed una piccola chiave d’avorio si paleso’ ai loro occhi.
‘‘Me la diede in custodia molto tempo fa. Lui disse che avrei saputo che farne; ho sentito di portarla con me’‘.
Thinghie con sguardo dolcemente indagatore studio’ quella piccola chiave , cercando una risposta che probabilmente gia’ risiedeva in lui.
Fisso’ la dama come si fa con un bambino appena venuto al mondo, con la dolcezza che si dedica al suono frantoio dei primi fiocchi di neve, con la pace degli odori di maggio e la risolutezza di chi sa cio’ che era stata espressione di tempi non sospetti.
Quindi frugo’ con fierezza tra i numerosi oggetti che incorniciavano la tomba del Ragazzo del lift e ne trasse uno scuro scrigno in legno, lavorato ad ebano, sulla cui superficie si rincorrevano, in vari orientamenti e dimensioni, l’intarsio di un ideogramma dal senso a loro sconosciuto.
Lo consegno’ alla Dama, la quale lascio’ scorrere le sue dita nelle fessure della serratura che ne custodiva la tara e Le fu innato tentare di sciuderla con la graziosa chiave d’ avorio che calzava, scivolando in aderenza a quella sottile apertura. Un leggero colpo come di arcaico meccanismo, scocco’ al sollevarsi del coperchio ed un odore di antico e di cenere esalo’ da quello scrigno, rivelando, al suo interno, la veletta.
La veletta che Le apparteneva e che Ella dimentico’ (volle lasciare?) nel Lift al loro primo incontro.
Era proprio la sua, la riconobbe dal monogramma rosa ricamato sul bordo, ma due elementi denunciavano il tempo trascorso e raccontavano di chissa’ quali sconosciuti eventi: le impronte, come impresse a fuoco, di un palmo di mano (forse quella agile e minuta del Ragazzo del Lift?) con accanto quella dell’ideogramma che istoriava la scatola.
‘‘La tenga per se’, Lei sa, io credo. Adesso riprenda cio’ che e’ suo’‘, Le fece Thinghie.
Quello scrigno, cosi’ sigillato, fu il dono di addio al Compagno Thinghie da parte del Ragazzo prima della sua ultima partenza.
Fu presagio o cortesia? Thinghie sapeva gia’ quale delle due e, colto da una improvvisa curiosita’, Le chiese:
‘‘L’Ha mai condotta al XIV piano?’‘ –’‘Mai’‘ Rispose guardando con aria delusa la veletta che teneva tra le mani. ‘‘Cosa c’e’ a quel piano?’‘ aggiunse Lei, dissimulando l’offesa che segno’ il loro incontro.
Thinghie trasse un lungo. ‘‘Il XIV no! Il XIV e’pericoloso!’‘, le confido’, ‘‘Mi ci condusse, una volta, dopo mille mie insistenze e fu grazie al coraggio ed alla sua visione che riuscimmo a tornare in salvo nella Hall.’‘, mentre terminava la frase si volto’ , e, come appena apparsa, scorse la Sartina accanto a se’. Per dove era giunta? Il carrello della monorotaia attendeva ancora al suo posto.
Forse era il segno che quella visita dovesse aver termine.
La Sartina si poggio’ al braccio di Thinghie, cui arrivava per altezza, e accenno’ di poggiare il suo capo su quel petto badìa, nell’intento di chi vuole alleggerire e non piu’ gravare.

[12 - continua]

mercoledì 1 dicembre 2010

Spilli di coraggio tra due vecchi sconosciuti


Come di marea in ritirata che liofilizza inediti viste dell'orizzonte e nuove abitudini; le aracustidi meduse che, simbionti a quella salmastra dittatura ed al suo pendolo commiato, ne periscono.
Come di marea che ridipinge le ombre degli scarnificati fondali, i prossimi eventi nell'antica fabbrica ed il preannunziato giungere della Dama influenzava le ombre della sera.
Era l'ora del tramonto dai riflessi d'ottone, eppure, come di trafelato equinozio, il cielo tra le grate appariva come scogliera del cupo inverno.
Le ore di quel giorno erano trascrorse, inette, ciclostili che non erano destinati a rendere memoria.
-
La Dama discese lentamente le scale in ferro tornite a rampicanti, chinando con garbo le spalle nel transito per la paratìa che adduceva ai locali della antica fabbrica.
Mai una Donna con tale nobilta'avrebbe potuto accedervi discendendone da un logoro e proletario montacarichi.
Thinghie, tacendo la silenziosita' di quei passi calzanti scarpette di porcellana, Le corse d'incontro. Ed uncinata a lui, la Sartina.

[ L'incarnato latte della minuta donna d'Albione si accese di un colore che tradiva
paura; la paura di perdere Thinghie; il profumo raffinato di quella Madama
di cui la posta le fu presagio;
per la cui grazia, nobilta' ed eleganza lei mai avrebbe potuto
eguagliare, le fecero temere per lo stupro piu' grande.
Resto' immobile per un lungo istante, rapita come a raccattare spille di coraggio.
Assente.
In quello stesso luogo. Proiettata in altri frangenti.
Le sue palpebre restavano chiuse, ma come vedesse dissolveresi quel timore.
Meditabonda, lascio' che la serenita' tornasse ad illuminare il suo viso senza didascalire, ed Ella,lasciato il braccio di Thinghie con la levita' di una carezza, scivolo', diretta alla loro dimora, sparendo, senza celia, ma con la misurata tecnica degli ectoplasmi. ]
-
"Finalmente!" sospiro' morbidamente la Dama dalla Veletta.
Thinghie la fisso' negli occhi restando come ammaliato e sommerso dalle mille parole che essi narravano per di se' stessi.
Azzardo': "Ho letto la missiva che preannunciava la Sua Visita. Lei dovrebbe essere..."
"Io sono." Lo interruppe guardandosi attorno. "E' questo il luogo. Egli me ne parlo'ma mai lo descrisse. Ora comprendo che non avrebbe potuto.
Un santuario.

Lui, Lui dov'e'?"
E thinghie con fare susseguoso: "Lo conosceva, Signora?"
"Non posso esserne certa" rispose la Dama senza attendere il termine della domanda.
"Sicuramente Lui conosceva me. Lo incontrai svariate volte, ed ogni volta lesse dentro di me, traghettandomi in luoghi che altro non erano che recessi dei miei stati d'animo. Il Ragazzo del Lift mi mostro' una nuova me stessa, vestendomi, ogni volta di abiti nuovi. Sconosciuti, ma sempre miei.
Era questo quello che faceva, nevvero?"
Thinghie l'ascolto' rapito dal fare cortese e dalla melodia graziosa della sua voce.
La dama assecondava le parole con lievi e sinuosi movimenti della mano, con la spontaneita' che, nelle foglie dei cipressi, e' innata.
"Immagino di si, Signora. Anche a tutti noi ha saputo donare e recare tanto ed in luoghi che sapevano di ignoto ma, in fondo, cui ognuno apparteneva.
Tante avventure, facezie e gesti di eroismo mi legano a lui.

Perdoni l'ardire, Lei in quale circostanza lo conobbe?"
La Dama intercalo' un momento di silenzio e prese: "Non credo di ricordarlo" sussurro' abbandonando lo sguardo ed inseguendo ricordi che parevano fuggire, confondendosi gli uni con gli altri. "Un giorno qualsiasi entrai nel Lift sicura di dovermi dirigere in un certo luogo e Lui, Lui mi fisso' e mi parlo' "
Improvvisamente un lieve rossore le ricopri' le gote. Lei cerco' di mandarlo via con una fuggevole carezza sulla guancia, quasi ad asciugare invisibili lacrime.
"Mi porto' in un luogo molto speciale, adornato di innumerevoli teche... Ma di quel luogo
e su cio' che li' accadde, non gradisco, ora, parlarne. Quando ci accomiatammo, dimenticai
la mia veletta nel lift... auspicio di non voler congedare quell' Essere speciale, desiderio inespresso del persistere di un legame tra noi, tra due vecchi sconosciuti.
Una dimenticanza che suggeriva la mia brama di rivederLo."
Le parole della Dama sottolineavano il movimento altalenante della veletta (di nuova fattura, questa) che Le lambiva le labbra, come per un eterno ritorno, ad ogni frase sussurrata.
Thinghie si scosse, come a dover parare, con pugni invisibili, il colpo di un antico ricordo riemerso senza manifesto.
Nel frattempo lei s'accingeva a sottoporgli la domanda per la quale era giunta fin li'.

[ 11 - Continua ]

mercoledì 10 novembre 2010

Cablogrammi in cristalli di zucchero


Il mattino successivo la missiva venne consegnata nel terminale dell'antica fabbrica.
Ad annunziarlo, il doppio tono sordo della conduttura di posta pneumatica che innervava ogni piano del grattacielo McPerson.
Furon le agili e ben curate dita a sbottonare il cappuccio di sicurezza, in stagno, ed estrarre la capsula ancora sigillata, dal condotto a pressione.
Il rapido scambio di mano vide dapprima la capsula ammantare quella lattigena della sartina per poi, immediatamente, diluirsi nel possente palmo di Thingie.
"C'est pour toi", sussuro lei con la voce spezzata da un velo di gelosia, concludendo: "C'est une femme".
Il terminale di posta pneumatica dell'antica fabbrica era situato accanto all' elevatore ove, ogni mattina, Thinghie conduceva il suo amore per consegnarlo al piano sartoria.

Alla donna era rimasto, all' angolo del labbro, un cristallo di zucchero; scambio del croissant della vicina colazione.
Thinghie l'aveva volontariamente ignorato, adagiandola sulla panca dell'elevatore, pregustando il momento di doppia dolcezza quando l'avrebbe baciata per saluto.

Non v'era mai malumore nei loro risvegli del mattino.
Sotto il garbato manto delle tenebre, sin dalla prima notte, essi, vivevano negli stessi sogni.

La bacio' col palmo pronto sul pulsante cromato che richiamava la salita.
Trascorse, forse, un attimo tra il serrare le saracinesche e veder tramontare, come astro reverso, la donna ch'egli amava.
Ruppe il sigillo che assicurava l'apertura della capsula e ne separo'il tappo ad aderenza.
Un profumo fougere e ambrato proruppe in quel corridoio della fabbrica irradiato dalle luci di sicurezza.
La comunicazione non era redatta su un modello standard per P.P., bensi', vergata in elegante grafia, su raffinata carta da lettera dal tenue color paglierino. Thinghie si destreggio' con agilita' tra gli svolazzi ed i ricci di quella missiva, leggendola con avida curiosita'


"Caro Signor Thinghie, amico del mio amico,

scrivo questa mia per palesarLe un desiderio che di giorno in giorno cresce dentro di me; alimentandosi dei miei ricordi e di delicati pensieri, rivolti al nostro comune, compianto, Amico.
Caro Signor Thinghie, da tempo ho ormai smesso di piangere, perche' ho, infine, compreso che le lacrime altro non possono che velare lo sguardo... un saluto, pero', un sorriso, questo si', vorrei poter rivolgere a chi mi condusse attraverso stanze segrete, sempre accompagnandomi per mano e mai lasciandomi sola.
Desidero raggiungerLa, se lo vorra', quando lo vorra'.

F.to: La Dama della veletta"


Thinghie rimase ad arrotolare,a lungo e con entrambe le mani, il preannuncio, speculando tra se'.
V' era qualcosa di familiare e consumato nella velata identita' di quella donna, ma, come di dagherrotipia che invoca tempo per esaltare il suo fuoco e mostrare la propria immagine, cosi' Thinghie si concesse tempo e ripose, infine, il rotolo nella tasca interna della tuta da lavoro.
Presto avrebbe capito.
Presto avrebbe ricordato.

[ 10 - Continua ]

mercoledì 13 ottobre 2010

Gradini di pioggia


Ma non fu il treno a rivelarsi, bensi', tra il suono di un domino in cascata, un rosario di piccole assi, nerissime, si svolse dall'alto fin a giungere, dalla galleria, sino ai loro piedi.
Come una scala sospesa nell'etere, unico contatto tra i due cuori e l'eterea silouhette dell'estinto amico.

All' estremita' di ogni gradino v'era inciso uno stretto canale, nel quale scorreva acqua stillata dalla nuvola; avia conduttura che adduceva sino ai loro piedi, alimentando una fresco calpestìo.
Thinghie condusse sul gradino piu' basso le mani della sartina, che non trattenne la gioia un attimo prima di bagnarsele.
Quindi bevve dalle mani a conca, e per quanto piccole, appariva come dissetarsi da un ditale.

Lei ripete': "Lui c'est ici" e, tenendo i palmi immersi nei canali, puntando le iridi al cielo, sentenzio' : 'c'est violet' pur se a Thinghie la scala appariva, in quell'istante, di un celeste acquerello.
Egli si sedette unendo le sue gambe e vide riflesso, sul viso porcellana di lei, i bagliori blu intensi proveniente dalla scala.
Fu solo quando la prese in braccio per accoccolarla, mollica, sul suo grembo alieno, che noto' i gradini tingersi di viola.

In quell'esile cascata nel deserto, di tanto in tanto, l'operaio dell'antica fabbrica intingeva le dita, lasciando gocciare l'acqua fresca sulla fronte di lei che socchiudeva gli occhi, ricambiando con l'accenno di carezze dirette ai sui suoi dorsi.

E mentre gli strepiti dei lampi si placavano, subentravano i rumori lontani di un vocioso banchetto ed il guaire di cani incatenati sotto la luna.

Lui prese a tenerle il viso nel palmo, quando un sottile mulinello
sollevo' una corda di sabbi che, progressivamente, scolpiva, nell'aria, figure in movimento.
Ed a quelle visioni le espressioni di Thinghie si accordavano col mutare di quell'epico teatro di sabbia; la curiosita' si succedeva allo stupore, l' attenzione, la pena.
Di volta in volta egli, con rapide frasi, ne descriveva le scene a quella vestaglia cucciola che gli giaceva, esausta, tra le braccia.
Ma quando le forme di sabbia si compattarono in minacciose fauci in posa di attaccare, la nube che rimandava al lift, sopra di loro, inizio' a lacrimare pioggia, sgominando quel pericolo felino fatto di polvere e rena.

Nel cuore della Sartina risuono' la voce del Ragazzo del Lift che echeggiava, familiare ma solenne, le seguenti parole: "Genevieve, ne croire pas au temp!"

La pioggia che spense l'incubo ed avvolse i due amanti intrisi, cosi', come di un sonno, sedo' i loro sensi ed il capo di Thinghie reclino', fiacco, lambendo con le sue le labbra di lei in grembo e risvegliandosi, cosi' come ne erano partiti, sul divano sbrecciato della loro dimora nell'antica fabbrica.
Le loro labbra a far da rive coerenti, come se quell'esperienza fosse durata la promessa di un bacio.
'pourquoi Il l'a dit a moi'' chiese la Sartina al suo uomo ed egli, ripresosi, scosse una sola volta la testa, ancora in dottrina dell'arsura di quel deserto spurio, sopraggiungendo: "mais je sais que nous le saurons bientòt"
[9 - CONTINUA]

domenica 10 ottobre 2010

J'ai soif


Dalla rena ocra ed oro Thinghie sollevo’ lo sguardo; perdendosi a seguire le tortuosita' del lembo di sabbia rimboccata dalla spuma.
Quel percorso sembrava mai destinato a terminare e la manina francese che stringeva conferiva ad ogni loro passo la soave sontuosita' del sorriso di regine in corteo.
Agli stridii delle roje di mare si alternavano, senza fonte precisa, l' eco di:
campanelli di gelatai, ticchettii di telescriventi, fruscii di tende, bestemmie in lingue morte, sdegni di archi voltaici, aAh-ahh di bambini e colpi sordi e vigliaccamente profondi,come di tuoni, ma che, in realta', erano abbandoni.

Non v’era stanchezza nell’andare per quello che avrebbe potuto essere il paradiso del Ragazzo del Lift; eppure, in quel momento Thinghie si fermo’, e, senza rispondere allo sguardo indagatore della Sartina punto' verso l’ interno della spiaggia, sino al punto di rendersi vedovi del sereno pendolo del mare.
Adesso era come se fossero in un deserto.
Ma senza dune.

“J'ai soif, mon petite.” Sussurro’ la Sartina, facendo leva sull’altra gamba ed estraendo il polpaccio dalla sabbia.
“Je suis ici”, le ribatte’ Thinghie, slegandole la treccia raccolta dietro il capo.
Era il momento di trovare un meta.
Respirando forte, giro’ lentamente su se’ stesso allargando le braccia cercando il richiamo del sentiero. Era quello uno dei suoi ruoli nella Compagine del Ragazzo del Lift e Mr. P. confidava su quell’istinto. Era certo che, ovunque si fossero persi, Thinghie avrebbe sempre ritrovato la strada.
La cucciola di Gallia era rimasta agganciata al suo gomito possente, adesso flesso verso l’orizzonte, confidando che il suo amore la conducesse.
Ma stavolta sarebbe stato il sentiero a trovar loro.

Nel cielo nubi lontani imitarono i moti e le tavolozze delle linee di scansione di un oscilloscopio a galena, mentre, sempre piu distinto, si udiva il friggere elettrico delle scariche di statica, prima confuse tra gli altri rumori remoti.
Un’aria di un colore blu impavido, familiare a Thinghie, ed un certo odore di ozono speziato, riporto' alla scena incresciosa, vissuta poche ore prima nell’antica fabbrica. Ma il tempo aveva davvero conto in quel deserto?

Erano gli indizi dell’arrivo di Quel treno, lo stesso che traghettava la compagnia del Ragazzo del Lift in altri “stati” al termine di ogni dovere, di ogni missione.

Thinghie abbasso’ le braccia e volse lo sguardo in direzione di quei lampi turchesi.
Sul loro capo, tra le altre, una nube piu' carica, coronata da saette magenta.
Il suo centro prese a turbinare, implodendo, mentre il perimetro assumeva il contorno del viso del Ragazzo del Lift.
Si distingueva nettamente il filo del cappello tubolare, il fiocco del papillon ed il naso sottile che sormontava le labbra semiaperte nel suo abituale, candido, sorriso motivo.
“Lui c'est ici”, sussurro’ la donna minuta, in uno sterile sguardo che residuava l’orizzonte.
Il turbine intruse al centro della nuvola, come a zapparvi un tunnel.
Thinghie, fissava quello spettacolo prevedendo il pronto avvento del treno dall’ aerea galleria.
[8 - continua]

lunedì 12 luglio 2010

Come se dormissero


Lui la sollevo' con una grazia che non gli apparteneva e vide, di lei, gli occhi socchiudersi senza utilita' alcuna. Lei gli si affido' ed ogni tensione scivolo' via dal suo corpo.
Se alcuno li avesse scorsi dalla porta avrebbe notato un piccolo Ercole che imbracciava un essere d'apparenza inanimata. Ma cosi' non era.
Autentica, invero, la palese differenza delle loro masse. E questa valle decantava la forbice del loro amore.
Lei sospiro' leggera ed inizio' a sussurrare la poesia che Il Ragazzo mormorava spesso:

" Lorsque l’enfant était enfant, Il marchait les bras ballants, Il voulait que le ruisseau soit rivière Et la rivière, fleuve, Que cette flaque soit la mer. Lorsque l’enfant était enfant, Il ne savait pas qu’il était enfant, Tout pour lui avait une âme Et toutes les âmes étaient une..."
-

Thinghie procedeva a ritroso, a passi ciechi, col suo fagotto di porcellana, verso il divano sbrecciato. Lasciandosi cadere senza scossoni, vi depose entrambi.
Raccogliendo il testimone della nenìa, prosegui':

"Lorsque l’enfant était enfant,
Il n’avait d’opinion sur rien,
Il n’avait pas d’habitude
Il s’asseyait souvent en tailleur,
Démarrait en courant,
Avait une mèche rebelle,
Et ne faisait pas de mimes quand on le photographiait."

-
distese il plaid andino a proteggerle le gambe.
-
come da un altroquando, suono di acqua che ritorna, odore di salsedine, come di nebbia del cavone che in un'istante tutto cela e gli orizzonti muta; ma ancorpiu' di vapore che sale o di soffioni di campo sfaldati da migliaia di bambini.
Saliva.
Bianca, da quel pavimento che diventava rena . Come di neve che ritorna all'alto.
E non ci fu piu' casa.
E se alcuno, dal lucernaio della cucina, li avesse spiati, avrebbe affermato che fosse come se dormissero, ma la verita' , in esso stesso scritta, sarebbe stata sbagliata.
Si ritrovarono la'.
Thinghie e la Sartina Francese avrebbero giurato che quella distesa di sabbia pestata dal sole, fosse un deserto....se non ci fosse stata quella lingua di mare.
Lei gli camminava accanto e sorti' in una risata puerile percependo il freddo dell'onda abbracciarle le delicate caviglie.
Lui le prese la mano fissando l'orizzonte. Lei non pote'.
Spruzzi di schiuma al finir del mare, una coppia di capidogli che portavano il loro nome, piroettavano sfiorandosi di pinne. Quando i mammiferi s'inabissavano Thinghie respirava un' universo smeraldo e la Sartina si lasciava carezzare dalle alghe di fondale.
Per un momento che fu vita tornarono su quel deserto di mare.
Da uno stormo lontano, una coppia di gabbiani si staccarono per avvicinarsi alle due figure sul bagnasciuga. Presero a seguire il loro passo ad ali spiegate, apparentemente immobili, lasciandosi portare, senza fatica, dal tepore delle correnti ascensionali.
E quando gli amanti si risolsero in quegli aviatori; come di arpa percepirono i suoni, e, maestri di nuove abilita', mutarono ogni respiro in un decollo senza dolore.
Sospesi, leggeri, chiusero gli occhi.
Come se dormissero.

[7 - continua]

martedì 6 luglio 2010

Stellina

era un carillon dalla meccanica a vista

“Sei tu.” le pronuncio' il Ragazzo del Lift lasciandolo scivolare nella borsetta, lavorata a punto basso, della Sartina.
Fu il giorno in cui si conobbero. L'ultima volta in cui i loro sguardi si incrociarono.
Da allora quell'oggetto luccicante tenne il suo posto sulla consolle delle cose preziose , tra la dedica di M.me Curìere e la boccia d'ambra col ramertto di corallo.
-
In quell'istante mai nessuno sguardo avrebbe potuto cogliere la terza figura in quella casetta situata in un deposito dell'antica fabbrica.
Thinghie e la Sartina restavano in piedi , al centro della stanza.
Per quella sera la cena avrebbe atteso.
L'aria si fece immobile e con lei i loro corpi.
Dal carillon, di una lentezza che e' figlia della morte, si sollevarono le note di “Georgia on my mind”, come se, dando vita a quella macchina da musica, invisibili dita ne spingessero il grosso ingranaggio unghiato, propagando una melodia dall'andamento sghembo che non apparteneva a nessuna canzone della Terra, ma solo a loro due. Solo a loro tre.
Struggenti rintocchi come di voce che confidava: “Ma petite etoile”.
[6 - continua]

venerdì 4 giugno 2010

Vertigini centrifughe in preghiere tibetane.


Lei solleva lo sguardo coeva a lui che, nel passarle accanto, entra in casa, fecendo tintinnare, con la mano libera, i friseaux del lembo di tela stampata, della sua gonna.
In quello sfiorare si lascia investire dall’ intensita’. La medesima forza delle sue prese suoi fianchi di Lei, dalle quali, in altri momenti , aveva imparato a dipendere.
Il cursore delle falangi di Lui per le pieghe della sua sottana le rintocca scale di pulsione come bastone che striscia su di una cancellata. Vertigini centrifughe di preghiere tibetane.
La stampa di pesci, ricorsiva sulla tela, si tinge di rosso, e lei, vermiglia con loro.
-
Eppure Lei resta ancora, come gorgoyle a guardia della porta , il cui uscio sarebbe rimasto aperto.
Poi entra, come attratta dalla tavola che, tra i pensieri che, stamane, cercavano Lui, aveva apparecchiata.
Ne sfiora col fianco la costa di legno, imbrigliando le pupille fisse verso il cielo a fissare le direttrici di travi d’acero al soffitto.
In apparenza.
-
“mon précieux”, sussurra. Quieta.
Bisbiglio dalla dinamica che alcuno potrebbe cogliere, altri se non il suo infungibile destinatario.
“mon précieux”
-
Accanto alla Sartina i mesi trascorsi sono giorni ed e’ solo ieri che Thinghie ridiede luce all’undicesimo piano del McPerson sostituendo la torretta a croce di malta del Prevost P55 . Per settimane il volto di Capomario sotto la visiera del caschetto fu solo il suo sorriso e per gratitudine fece trovare accanto la gamella di Thinghie quel plaid di lana andina.
“mon précieux”
Lui lo spiegava, dando di spalle alla francese, sul divano.
“mon précieux”
Il suono di quella parole. Basto' ad ogni cosa.
Un guizzo di vita svelo', per un istante infinito, quel telo nero dal cuore.
Sorrise.
Fu, grazie a Lei, cio' che sarebbe stato l'unico sorriso di quella giornata.
Lui lo sapeva.

[5 - continua]

mercoledì 26 maggio 2010

La Porziuncola e la Macchina a Vapore


Rendo il carrello al suo capolinea.
"1882".
E’ la cifra impressa sul pomello di ghisa che avvia il ritorno della monorotaia.
Ci gioco con l’ unghia mentre la sento cigolare cadenzando i cicli di statica.
Scompare presto dietro l’ ultima curva.
Questa vecchia monorotaia segna la distanza che separa l'area di lavoro della fabbrica dalla nostra casa.
La nostra casa.
Un tempo era un deposito di bobine di campo destinate alle ricerche del Buon Architetto.
Qui si rinchiudeva per i suoi studi che duravano settimane.
Cosa realizzasse in quei giorni in cui , allontanati gli operai, viveva ,demiurgo eremita, sigillato nella fabbrica, e’ un segreto che porto’ nella tomba.
Smettemmo di tentare di comprenderlo dopo la tragica scomparsa della figlia.
Povera piccola Ada dai riccioli corvini.
Ma oggi quel deposito e’ la nostra tana, io e la Sartina a cio’ l' abbiamo eletta, conferendole, col lavoro e l’ amore, il dono dell’ accoglienza.
Nulla manca per definirla un focolare domestico. Puo’ darsi difetti delle tende alle finestre, ma cio’ solo perche’ non vi sono finestre...
L’inatteso eco di un urto metallico si diffonde remoto per la fabbrica.
E’ la monorotaia che avverte sul termine della sua corsa.
Quando l’eco si spegne m’accorgo che anche Lei mi stava amando, ugualmente tacendo.
Varco la soglia accorto a non sfrangiare quel silenzio.
[4 –continua]

giovedì 20 maggio 2010

FFWD -cloudburst in timeflow- REW


[ Ed in quell' istante, NapoleonE, che fu Nostalgia e Pioggia di Cantone, Condanna e Nebulosus, Rabbia e Nebbia di Corse Infanti, Rapimento e Neve del Cavone, Passione e Pulviscolo dei Tisichi, si fece Diluvio, gocciando, in crescendo, da lentiggine a cascata; semi di corteccia. La sede ove la salma del Ragazzo del Lift, giaceva, rese lago. Di Pinoli.
-
Nella realta' dei MicroSogni, un anno.Oggi. ]

[Post fuori_serie]

giovedì 13 maggio 2010

Una Nuova Geografia


Il tavolaccio della monorotaia consente un sol tipo di seduta:
All'amazzone.
Con Ifigenio, ci abbandoniamo, con una nuova stanchezza, sul legno sbrecciato.
In un angolo di quel sedile di fortuna, un lembo perduto, ha lasciato una sagoma come di trifoglio.
Affondo il palmo, senza accorgermene, in quella rientranza che pare strappata dai denti di un Mokele.
-
Trilly e NapoleonE mi erano affianco quando ne affrontammo uno sulle rive del lago di Prospero. Il Ragazzo del lift ci urlava istruzioni, seguendo, dall’altura, i movimenti della bestia. Mentre Mr. P. faceva da esca.
Trilly, vorticandogli intorno, lo abbaglio’ e NapoleonE si fece cenere e scirocco, vapore ed angoscia, tra le sue fauci. Vidi quel mostro, razziatore di pascoli, gonfiarsi, dibattersi impetrando un gemito antico e penoso.
Esplose.
Alla fine, ne rimase’ solo il puzzo di carne rancida e carbone bagnato ad appestarci la pelle per giorni e giorni e la gratitudine di a chi avevamo spento il terrore.
Ma questo fu tanto tempo fa.
-
Fisso la cenere e le macchie di grasso sullo sterrato dell'officina.
Guardo, ma non vedo.
Uno scatto, come da un luogo remoto. Un colpo alla nuca ed un osso che schioppa; e' la partenza del
carrello azionato, in silenzio, da Ifigenio a strapparmi, da gelatinosi pensieri.
.
Quanto familiare puo' apparire cio' che, da solo un anno, fa parte della tua nuova realta'.
Con la compagnìa del Ragazzo del Lift non restavamo mai per troppo tempo nello stesso luogo.
Presto, prima o poi, il Treno giungeva a raccoglierci per ricondurci altrove, laddove era davvero altrove.
Nessun luogo ci appariva familiare fino a quando non vi ritornavamo una seconda volta, guidati delle imperscrutabili logiche di quella locomotiva.
Mille momenti vissuti con Mr.P e NapoleonE.
Un passato che m'appare cosi' lontano, oggi, che posso riconoscere, anche ad occhi chiusi, in che punto esatto della monorotaia mi trovo.
Sobbalzi su sistema palmer che tracciano una nuova geografia, nella mia vita che mai ne aveva avuta una.
La Sartina comprenderebbe.

Solo all'arrivo m'accorgo che io ed Ifigenio siamo stati seduti ai lati opposti del tavolaccio. Il viso rivolto in direzioni avverse, come per non parlare; tanto oggi non avremmo avuto molto da dirci.
Un pneumatico sfregiato fa da parabordo, a smorzare il finecorsa del carrello.
La monorotaia ha due sole stazioni. Con uno sgraziato slancio delle gambe, ci apprestiamo a scendere.

Un moto imprevisto nell'animo fa travasaremi lacrime.
Lacrime, oggi, troppo trattenute.
Scavalco dal carrello ed il mio sguardo, che finalmente sollevo, si perde nel profilo del mio amore.
La sartina, puntellate le scapole allo stipite dell’ingresso blindato, ne fa tutt’uno , come a far da ali ad angelo.
Lei.
Sorrido tra le lacrime, guardandola. Lacrime per un amico che mi ha lasciato. Lacrime per chi e’ restata ad attendere il mio ritorno.
E, pari, lei, col volto solcato, sente il mio passo e rallenta il respiro.
I suoi occhi restano chiusi. Come se vedesse.
Mestola con perizia un cucchiaio di legno nella gamella.
Non a caso profumo di Knodel.
Non a caso.
[3 – Continua]

sabato 8 maggio 2010

L'ultima carambola di luce


...poi tornammo, ognuno, alle proprie occupazioni.
La sartina ad imbastire le giacche agli ufficiali, io a profilare capsule per la posta pneumatica, gli altri operai a trasferire, dalla marmorizzazione, una mastodontica levigatrice a vapore.
Sulle nostre teste c'e' chi dipende da noi. La fabbrica non puo' fermarsi.

[...]

C' e' un ora del giorno in cui i raggi del sole valicano le grate delle basse finestre che, dalle officine, menano sul marciapiede.
S' insinuano tra il vociare dei passanti, il turbine delle autovetture, lo strisciare di candidi bastoni per ciechi ed il ticchettare delle zampe di cane.
Penetrano nei locali dell' Antica Fabbrica e si riflettono, moltiplicandosi, tra gli ottoni dei macchinari.

[Chi se ne occupa e' Ifigenio, un operaio greco dalla piccola eta' ma dal grande sorriso. E' ormai abituale percepirlo, come cogliere il fuggire d'ombra di un fantasma, mentre guizza tra le valvole, strofinandole con le sue mani irsute, guantate di daino ed olio di gomito.]


Ogni pressa, trasportatore o biella si fa specchio lucidissimo che, da acciaio si muta in oro; messaggero d'ottone, ambrato d' un annuncio di riposo.
Quel raggio di sole, dopo mille carambole, m' abbaglia accecandomi e, piu' del vecchio orologio dal piatto bianco che spezza la parete, afferma che e' ora, anche per il morente giorno, di dare un commiato al tornio.
Ma cio' non oggi.
Oggi il tempo striscia i piedi nei sotterranei del McPerson.
L' orologio e' fermo ad un' odierna antimeridiana ed il sole non ha premura di bussare a quelle grate.

Ho imparato a riconoscere l'ora di compieta dalla frenesia che giunge dalla strada.
Da fuori.
Ma chi, tra queste officine, si e mai preoccupato di cio' che accade fuori? E chi, oggi puo aver pensieri d'altro che dal Ragazzo del Lift?

Dentro di me e'ancora vivo...

Indolente, lascio il banco.
Anche per oggi ho dato, si smetta di fresare.
Ma quanto ho lavorato? Certo meno di ieri e meno di sempre.
Le volte in cui lacrime pannavano la vista, distogliendomi la mano dalla frizione, non si sono contate.
Questo la sartina non potrebbe capirlo.

Oggi non e' un' ordinario giorno feriale, e dopo di oggi non ci saranno piu' giorni festivi.

E' ora di tornare a casa.
Stringo i pugni nelle tasche come ad impugnarmi il cuore.
La strada verso la monorotaia mi e' abituale; la imbocco ad occhi chiusi, siggillando le lacrime e sfioro, con le dita, la sfrangia di seta della fodera.
E mi sovviene il profumo dei suoi capelli, e la mancanza, come ad accarezzarne, in tasca, una sua ciocca.
[2 - CONTINUA...]

venerdì 7 maggio 2010

Thingie: "Il Ragazzo del Lift e' morto."


Thingie:"Il Ragazzo del Lift e' morto."

"Ieri, il ritorno del Treno nella stazione dell'Antica fabbrica del grattacielo McPerson, ha recato con se' un carico ferale ed inatteso: il corpo esanime del ragazzo del Lift.
L'ho rivenuto,disteso, nella carrozza passeggeri.
Abbigliato nel medesimo modo di quando il Treno lo porto' via.
Non sembra trascorso un anno da quando lo vidi stringendo la ringhiera del ballatoio del vagone, partire, in silenzio, con MrP. ed a NapoleonE.
Ora era li'.
Come se dormisse.
I polsi sbottonati.Scalzo. Il volto sereno. Alcuna ferita sul corpo.
Riverso a terra, aperto, il libro :"The Thermodynamics of Tesla's Fuelless Electrical generator", un segnalibro a forma di trifoglio ed una piuma.
Io e la Sartina Francese l'abbiamo raccolto e deposto, amorevolmente,in una tomba ai piedi del Totem, dopo un silenzioso, struggente e lunghissimo ultimo saluto.
Non ho notizie, ne' sul Treno vi erano tracce di Mr.P e di Napoleone.
La vita, nell'Antica fabbrica, si e' fermata, per alcuni minuti. Come spente da un'atavica pena, le macchine hanno smesso di funzionare.
In quegli istanti il silenzio ha preso in braccia il dolore, mio e della Sartina.
Poco dopo il Treno e' ripartito, come sempre, senza preannunciare la sua destinazione."

[1 - CONTINUA...]